Ogni mattina un genitore si sveglia viene svegliato da un crescendo di gridolini. Un grido che si gonfia e diventa strillo e lo strillo è già urlo. Dopo anni e anni di vicini molesti, hai vissuto così tanto che alla fine lo sei diventato tu.
Le prime lallazioni lasciano spazio a sonorità inedite, i piccoli hanno un nuovo strumento e ne devono testare ogni coloritura, come facevamo noi con il cinquantino dopo averne appena modificato la marmitta, curva dopo curva ci piegavamo manco fossimo in MotoGP.
Questo numero nasce da uno spunto di un nostro affezionato lettore:
I papà che urlano: categoria derelitta in cui nessuno si pregia di annoverarsi e che invece, ahimè, è piena zeppa. Anche il sottoscritto ci casca, mordendosi poi subito il labbro e standoci male per ore. Mi piacerebbe scriverne, anche perché il senso di colpa è più tollerabile se condiviso.
Perché, come spesso accade, finisce che, per non farli gridare prima dell’alba o nel cuore della notte, alla fine siamo noi quelli che alzano la voce, iniziando a battagliare con una nostra mini-versione instancabile e permalosissima. L’ingegnere Zak ci ha fatto pure un utilissimo grafico che dimostra come sia controproducente diventare un genitore urlante, vanificando di fatto ogni efficacia pedagogica e consegnandoci ammanettati a dilanianti sensi di colpa.
Padri_e lettere
di Marco Bisanti
Oggi è mancata l’acqua nel condominio fino al pomeriggio e dopo pranzo sono andato a comprare un bidone da riempire alla fontanella più vicina: mi sentivo a Palermo, fontanella di piazza Niscemi, metà anni Ottanta. Poi sono andato a prendere Arturo all’asilo e ogni tanto lui indicava un’auto posteggiata dicendo “una macchina veloce, papà!”: chissà da cosa lo capisce se è veloce o no, mi chiedevo. Sono state due cose fisiche, arcobaleno nel quotidiano traffico del lavoro mentale che ho scelto, materici tuffi nel passato - il riempimento del bidone e l'indicazione delle auto veloci a motore spento, che pure io riconoscevo da piccolo - due tuffi nel tempo com’era vissuto trentacinque anni fa, con esclusività fisica, nell'esercizio di una presenza integrale nel mondo. Mentre riempivo il bidone, antenne aperte al passìo della gente, al vento sui rami spogli, alla fastidiosa luce delle nuvole; mentre tornavo con l’amore a casa, antenne aperte alle diverse forme delle auto, alla tubatura condominiale che aveva smesso di perdere, al giardinetto dove lui si è messo a correre. Come correvo io nel mio, in viale Strasburgo, quando ero solo una spugna e il mondo me lo bevevo, mentre ora tocca restituire qualcosa e farsi bere, diventare noi sorgente pulita il più possibile, amore, per te, a cui non è permessa disillusione in questi giorni di guerra, terremoti, povertà, violenza, ghiacciai spaccati, scomparsa non del futuro (quella era già chiara nella mia giovinezza) ma dello stesso presente. E questo io cerco di regalarti.
Pennellate
di Marco Zak
Non si smette mai di imparare
di Alessandro Buttitta
Con un po’ di ritardo, leggendo per caso un articolo de Il post di qualche mese fa, ho scoperto che Homer non strangolerà più suo figlio Bart.
“I tempi sono cambiati”, ha affermato il capofamiglia dei Simpson nel terzo episodio dell’ultima stagione.
Da grande fan della serie tv la notizia ha subito suscitato dell'interesse in me. Poi mi sono reso conto, con mio grande stupore, che la gag, vista e rivista centinaia di volte, non mi aveva mai sconvolto. Anzi, non aveva minimamente urtato la mia sensibilità, sensibilità che, invece, per formazione e cultura, per ambiente ed educazione ricevuta, avrebbe dovuto ricevere qualche scossone. Si tratta di uno dei cortocircuiti della nostra età. Ci scandalizziamo oggi per azioni palesemente sbagliate che ieri reputavamo accettabili o, con tutte le virgolette del caso, “normali”.
Cambiano i tempi, cambiano pure le nostre prospettive. Ora che mi sento anagraficamente più vicino ad Homer che a Bart, è interessante registrare gli smottamenti più o meno evidenti del mio (nostro?) grado di tolleranza verso simili gesti. Del resto, sono gli stessi smottamenti che ci fanno sprofondare nel divano, che non ci fanno più godere una serie tv con la leggerezza, che caricano di responsabilità uno dei padri più irresponsabili che abbiamo conosciuto.