In barba alla numerologia, il cinquantacinquesimo numero della nostra newsletter esce proprio oggi, mentre il piccolo grande Artù soffia sulle sue prime cinque candeline. Siamo ancora qui, mettendo sempre più a fuoco il nostro modo di essere padri, schivando gli araldi impenitenti che scudisciano coloro che non seguono la retta via della genitorialità perfetta. Aumentano gli spazi di discussione, nascono aziende dedicate proprio a come ottimizzare la genitorialità nel mondo del business. E noi ancora qui, felici di una casa costruita col cartone dell’ultimo pacco di pannolini, rapiti dal piccolo che, senza che ce ne accorgessimo, è entrato nell’età dei perché.
L’altra mattina, Chicco si è seduto in mezzo a noi nel cuore della notte per chiederci, con faccia serissima: “Pecché lo yogutt è feddo?”. Ora, come il più fervente degli animisti, soffi l’anima vitale agli oggetti inanimati. Per ora è il turno delle altalene, che ti aspettano a fine giornata. Prima correvi incontro a noi con una gioia riservata solo a mamma e papà quando venivamo a prenderti all’asilo; ora, tutta la felicità della tua giornata è per loro. Eccole, si innalzano come il monolite di 2001: Odissea nello spazio, stagliandosi alla fine del meriggio.
“Attalena!” È un grido che si gonfia verso il cielo, lo lanci mentre corri a perdifiato lungo il vialetto che ti porterà lì, a negoziare la sequenza infinita di spinte verso l’alto. “Spinta grande, papà, grande-grande!”. E alla mia domanda su dove vuoi arrivare, hai le idee chiare come solo un bimbo di due anni può averle: devi arrivare al cielo, al cielo grande “blu, bianco e gricio”. Da qualche giorno ti ho insegnato che c’è un altro colore per indicarlo, e quella nuova parola la assaggi come una caramella balsamica: “celeste”. La ripeti piano piano, per farla sempre più tua.
Ormai sei cintura nera di “versi degli animali” su Alexa e decimo dan nello spezzare i colori a cera. Ci ho provato in tutti i modi a impedirlo, ma poi ho pensato: perché mai vogliamo fermare il corso inevitabile delle cose, arginare lo scorrere incessante del tempo che tutto travolge? Resterò sempre più grigiometallizzato nei capelli e nell’animo con i suoi pastelli intonsi? Goditeli, figlio mio! Colora il mondo, le tende, il divano, le porte e tutto questo mondo “gricio”. Fallo anche per noi, che forse quei pastelli li abbiamo messi da parte troppo presto per non consumarli, illudendoci che non rientrassimo anche noi nell’obsolescenza programmata che tutto travolge.
In queste settimane si è fatto un gran parlare del kit di sopravvivenza europeo. Acqua, batterie, coltellino svizzero. Che l’anima di MacGyver ci perdoni: nel nostro kit di genitori metto un album da disegno, un pacco gigante di pastelli a cera e tutte le domande che mi farai.
Come ti guarderò sempre
di Marco Bisanti
Oggi. Proprio oggi, domenica 30 marzo 2025, fai cinque anni. Hai iniziato la fatica di respirare quest’aria alle 11:55, per la precisione. Ieri sera già ti descrivevi come un cinquenne ma io per gioco dicevo: non ancora. Oggi però è tutta questa parte di mondo che gioca con il tempo. È il giorno in cui noi adulti ci contiamo la favola in cui crediamo di più, mandando avanti le lancette di un’ora. Ecco, se c’è una cosa con cui i bambini non giocano è il tempo; se c’è una cosa con cui i grandi invece giocano fino alla fine è proprio questo. Spostiamo il tempo, ma di poca misura: un'ora, un giorno ogni quattro anni – lo facciamo apparire e scomparire – e intorno a noi le bestie e le piante e i bambini non capiscono le differenze che abbiamo creato per illuderci di avere questo mondo tra le mani come un gioco. Tu ancora lo sai di non avere il mondo tra le mani. Non hai il mondo, tu: sei il mondo.
Oggi mi chiedo chi diventerai, trasformandoti da mondo a persona. Non che lavoro farai, ma quanto sarai capace di stare nel mondo, quando sarà una cosa staccata da te. So che faccio e farò ancora errori, so che non posso evitarlo. So che alcune cose che faccio e dico, e a me sembrano irrilevanti, a te magari potrebbero dare dolore, frustrazione, senso di colpa, sconfitta. Anche questo non posso evitare: nessuno può avere il controllo su ciò che sentono gli altri. Evito quel che mi sembra sbagliato, ma io sono diverso da te e tua sorella, voi avete una sensibilità tutta vostra che, come genitori, noi forse non conosceremo mai. Anche perché vivete in un contesto e un tempo diversi da quelli che abbiamo vissuto noi da piccoli.
Si dice che i figli sono soprattutto l'idea che ci siamo fatti di loro e noi siamo soprattutto l'idea che loro si fanno di noi, ma chissà chi siamo veramente. Posso solo continuare a essere quello che sono (i miei mutamenti), a fare quello che faccio (i miei tentativi), a far sentire te e tua sorella a posto nei vostri corpi, a posto con le vostre emozioni, non chiedervi ogni due ore come vi sentite, ma cercare di capirlo guardandovi, semplicemente. Come ti guardo oggi. Come ti guardavo prima che nascessi. Come ti guarderò per sempre.
Pennellate
di Marco Zak
Non si smette mai d’imparare
di Alessandro Buttitta
Quattro episodi, quattro piani sequenza senza stacchi. È la tecnica usata da Adolescence, la miniserie Netflix su cui tutti o quasi hanno un commento da sottoporre all'attenzione altrui. Un'opera che ci immerge nella vita dei ragazzi a partire da un omicidio di una ragazza, un'opera che alza il velo su manosfera, incel e tanta solitudine.
Il secondo episodio, ambientato a scuola, è uno specchio impietoso per gli adulti. Fa emergere la loro fragilità spesso mascherata da distrazione, il distacco usato quasi come scudo difensivo, la fuga costante dalle responsabilità educative più scomode o impegnative. Un quadro amaro, soprattutto perché riguarda proprio chi poi si lamenta degli adolescenti. Questo episodio è cruciale per noi adulti, soprattutto per noi genitori.
Osserviamo, infatti, insegnanti e personale scolastico spesso distratti, quasi infastiditi dalla complessità dei ragazzi. Prevale un certo menefreghismo di fronte ai segnali di disagio o alle richieste, più o meno esplicite, di attenzione e confronto. Talvolta, si percepisce una vera e propria malafede: la tendenza a girarsi dall'altra parte, a minimizzare i problemi, a evitare lo sforzo di un dialogo autentico e talvolta difficile. Gli adulti sembrano rifuggire la fatica dell'ascolto e dell'intervento.
Il paradosso, amaro e potente, arriva puntuale. Gli stessi adulti che mostrano questa disattenzione, questa fuga dalle responsabilità educative e relazionali, sono poi i primi a lamentarsi. Puntano il dito contro adolescenti definiti superficiali, distratti, menefreghisti, persino cattivi.
La domanda sorge spontanea: non sarà che i ragazzi, come specchi sensibili, riflettono proprio i comportamenti che osservano negli adulti di riferimento? L'episodio, anche grazie alla continuità visiva del piano sequenza che non concede tregua allo sguardo, sembra suggerirlo con forza. Mostra un cortocircuito evidente: l'adulto evita il confronto, poi accusa il ragazzo di essere problematico.
Questa dinamica di scaricabarile e, diciamolo, di ipocrisia, è un monito. Ci interroga sul nostro ruolo: siamo padri presenti, siamo adulti consapevoli, disposti ad affrontare le difficoltà insieme ai giovani, o preferiamo la comodità di voltarci dall'altra parte, salvo poi lamentarci dei risultati? "Adolescence" ci mette davanti a uno specchio, talvolta impietoso, su ciò che siamo o che possiamo diventare.
Briciole
Segnaliamo la bella intervista di Roberto Cosentino a Luca Distacco, autore delle vignette dedicate alla genitorialità che di sicuro avrete incrociato su Instagram
Ringraziamo l’ufficio stampa Salani per averci inviato il nuovo libro di Alberto Pellai, Nella pancia del papà, a cui dedicheremo uno dei prossimi numeri