Stamattina pensavo a come cambia tutto, quand’ero piccolo avevo voglia che la domenica durasse una vita. Potevo dormire beatamente fino a tardi, ma mi svegliavo sempre prima di tutti per rivedere uno dei miei film preferiti per la milionesima volta. Consumavo i nastri delle videocassette, giocavo e rigiocavo qualche livello particolarmente ostico di Super Mario 3, o recuperavo uno degli episodi del cartone di Batman, quando - secoli prima dello streaming - videoregistravi gli episodi. Ora che l’hanno caricato su Prime, ogni tanto provo a proporlo al piccolo di casa, tentando di scalzare Bing, i Teletubbies, o l’inamovibile Lucilla e i suoi tormentoni (vi sono vicino, fratelli miei!).
Ora, superati i quaranta, mi ritrovo a desiderare solo di poter dormire, ignorando le cannonate di “Papà, papà, papà, papappapà!” che hanno rimpiazzato l’ormai inutile sveglia. Dura poco: con le ultime energie residuali che costituiscono la fonte stessa dell’essere genitori, mi alzo, cerco di lasciar dormire un po’ mia moglie e vado a giocare con lui. A 18 mesi non conosce limiti. Ogni giorno che passa vedo come cambia, come cresce, come sta piano piano dando forma al suo carattere. Noi genitori siamo l’unica costante in questa tempesta di mutamenti perenni. Continui riti di passaggio ci aspettano, con la piena consapevolezza che saremo testimoni di smottamenti continui in cui spesso non capiremo il senso, una febbre continua di voglia di vita, con le loro scarpe sempre diventate improvvisamente troppo piccole, pronte a mangiarsi tutte le strade del mondo.
Come scrive il nostro Bisanti, la febbre fa crescere i nostri piccoli, che continuamente ce ne passano una di ben altra natura. Mi rivedo in quel lontano 1992, che salgo i ventisette gradini che separano il piano delle stanze da letto dal piano superiore. Mi rivedo lì, in quegli anni senza cellulare, con la memoria a scattare istantanee che sarebbero presto finite nel mucchio dei ricordi, finestre aperte su storie sbiadite. Eccomi, lì, in quella domenica mattina mentre parte la sigla di Batman. Eccomi, 32 anni dopo, con il piccolo che balla sulle note di quella stessa sigla, in questa staffetta senza fine.
Questo è il 39esimo numero di Padri in formazione, siamo 4 papà e quasi sempre ogni due domeniche ci ritagliamo un momento per riflettere su cosa significa per noi oggi essere padri, concentrandoci su momenti che altrimenti fuggirebbero via, alla luce di quello che andiamo sperimentando con i nostri figli. Come la scorsa estate, rallentiamo un po’ il ritmo per tornare a settembre un po’ meno sfatti, questo che state per leggere è l’ultimo numero prima dei 4 numeri speciali che ci accompagneranno nelle prossime settimane. Nel frattempo vi consigliamo di leggere “Come sopravvivere alle vacanze” su Genitori instabili di Luca Gandini.
Padri_e lettere
di Marco Bisanti
Per i nostri cuccioli sono stati un inverno e una primavera pieni di malanni. L’estate che già impazza nell’aria infuocata della città dovrebbe quantomeno interdire l’agio dei virus che hanno fatto festa lasciandoci spesso a casa nei mesi precedenti. Invece, gli ultimi giorni di scuola contano ancora nasi colanti, tossi surreali e sporadici maldipancia. Regina dei sintomi: la febbre. La febbre fa crescere i nostri figli, lo dicono anche le maestre quando li vedono tornare con fare da sopravvissuti. Passati i giorni bollenti e digiunatori, Arturo spesso ci è parso cresciuto. Cambiato. Ha traversato un bosco credendo di non uscirne più, ma ogni tanto avrà pure notato i miei occhi certi del contrario. Un genitore lo sa, il bambino no. Perché lui, nel frattempo, sta cambiando e non sa cosa ci sarà di uguale a prima, nel resto che lo aspetta dopo la febbre. Il mio sguardo gli sorride dicendo che non si perderà al successivo cambiamento, perché già conosco la buona fine di quella traversia ancora in atto. Ci sono state febbri diverse. L’arrivo della sorellina fu un bosco fitto di tradimenti, per esempio – cosa ormai lontana anni luce. I cambiamenti hanno fatto venire la febbre anche a noi: febbre organizzativa, relazionale, lavorativa, e così via. La goffaggine e i ritardi, la furia e le incomprensioni, il mancato rendimento professionale sarebbero stati più facili da traversare appesi allo sguardo sorridente di chi è certo del lieto fine perché ci è già stato, l’ha già vissuto. Eppure viviamo col mito delle cose che non cambiano mai. «Non cambierà niente» è la bugia più dolce che si possa dire e in cui credere: è poesia, è filosofia. Non è fisiologia. L’età storica e la fisiologia dicono che i cambiamenti arrivano, e più stiamo fermi mentre il mondo seguita a girare, più aumenta la scossa quando davvero non possiamo restare ancora immobili. Il cambiamento passa per dinamiche brutali e delusioni cocenti. Ma, nel tempo, lo sguardo rassicurante che cercavamo fuori – e poteva avere l’iride celeste di tua nonna o il taglio affettuoso di tuo padre – ha iniziato ad abitare dentro di te. Ed è negli occhi dei tuoi figli che lo intravedi, ogni tanto, al centro dell’ennesima febbre.
Pennellate
di Marco “Zak”
Uno dei primissimi film fatti vedere al primogenito (Ratatouille) sentenzia correttamente che il cambiamento è l’unica cosa costante nella vita. Ma ci sono cambiamenti e cambiamenti.
Poche esperienze ci cambiano rispetto al “prima” come il diventare genitori, è altrettanto poche esperienze sono caratterizzate da un cambiamento costante. Essere padre di un tredicenne o di un bambino di otto anni sono esperienze completamente diverse.
La cosa divertente (!) è che tendenzialmente la persona che ci fa vivere questa cosa, il sangue del nostro sangue, l’amato pargolo o la dolce fanciulla, tendenzialmente detestano il cambiamento, o quantomeno lo guardano con sospetto.
Ho assistito a crisi scatenate da un mio sguardo alla vetrina di un’agenzia immobiliare, perché poteva essere remoto preludio a un elemento di variazione nelle nostre vite.
È evidente che parte del nostro compito è far accettare i cambiamenti, perché sono non solo inevitabili, ma anche necessari. Ma per insegnare ad accettarli dobbiamo farlo in primis noi, e non viverli passivamente. Un’altra bella lezione che l’essere genitori ci offre.
Non si smette mai di imparare
di Alessandro Buttitta
È alta la tentazione di cedere alla metafora o alla similitudine per illustrare i cambiamenti. Il linguaggio, per sua natura, rivela o inganna; crea una realtà, la nostra realtà, che scompagina pensieri che poi proviamo a rimettere pazientemente in ordine in nome di un'armonia e di un equilibrio difficili da definire e da conquistare.
Qualche giorno fa, nella lettera di saluti ai miei alunni di terza, ho scritto che, nelle nostre vite, non c'è impresa più complicata di essere all'altezza della migliore versione di noi stessi. Ho letto la frase due volte, con lentezza, con emozione, con voce quasi rotta.
Ho compreso lì, davanti a un esercito di occhi curiosi e partecipi, quanto io sia cambiato negli anni. Sicuramente ha influito la paternità. Essere padre, nella mia testa, ha ridefinito priorità su priorità. Tuttavia, rielaborando a distanza di giorni, ho fornito risposte a domande che non ho avuto il coraggio e la pazienza di porre a me stesso.
Mi sono convinto che, da esseri in continuo cambiamento, cerchiamo testimoni del nostro passaggio di stato, di forma, di pelle. Speriamo di trovare qualcuno che ci restituisca immagini o frammenti di noi come padri, come mariti, come amici, come uomini che transitano veloci su questo pianeta.
Quanto siamo ambiziosi e pretenziosi nelle nostre ricerche... È veramente complicato essere all'altezza della migliore versione di noi stessi. L’ho detto ai miei alunni. Lo dico all'Alessandro che scrive e legge. Lo dico, a futura memoria, ad Agnese che non so se leggerà mai queste mie parole.
Ragazzi, grazie per la citazione. E tanta solidarietà per le ripetizioni infinite di Bing e Lucilla, quando io dovevo aspettare un giorno intero per sapere dove sarebbe finita la palla calciata da Holly. Col senno di poi, sicuramente in rete.