Posso anche io? Mamma, tu che vuoi fare da grande? Quando giocherò con Adele? Così, nell’ordine, mio figlio alla cugina più grande che iniziava un gioco con i coetanei; alla madre, di punto in bianco, cavando una risposta per niente scontata; e a me, pettinando il caos emotivo seguito all’arrivo della sorella. Voglia di stare insieme comunque (oltre le età diverse), desiderio di far coincidere la sua temporalità con la nostra (oltre le età diverse), amore impaziente per la sorella (oltre le età diverse). Il mondo interiore del bambino apre spiragli continui al nostro indirizzo in forma di domanda. Esiste un’età dei figli chiamata “dei perché”, ma non parlo di questo. Le raffiche di perché servono quasi sempre a confermare la nostra presenza accanto a loro nel mondo, rodando la disponibilità costante del canale tra noi, per rassicurarli più che spiegargli davvero le cose (durante una raffica, infatti, spesso non danno manco il tempo di rispondere per intero al perché appena formulato). Le vere domande sono altre. Sono quelle che partono da loro, esito dell’elaborazione attuale di un tema, manifesto delle emozioni ancora senza parola, ombra del loro interesse o della vocazione più intimi. Sono le domande fatte di punto in bianco. Avendole raccolte tempo fa puramente a caso, solo ora che scrivo mi accorgo che le tre domande di mio figlio citate all’inizio lavorano tutte sullo stesso tema: il tempo. Arturo sta cercando di capire e accettare il fiume in cui è immerso. Leggo da un post recente, altre domande bambine, fatte dal figlio a una mia amica: Mamma, quanto pesano le case? Come si acchiappa il vento? Perché l’aria è invisibile? Domande che forse lavorano tutte sul tema della tangibilità. Che tipo di gravità e consistenza possono afferrare e reggere le mie mani? L’amico di Arturo sta lavorando sul limite fisico che detta in vario modo il suo rapporto col mondo.
Ho pensato così di iniziare il nuovo anno della newsletter invitando anche voi a fare questo esercizio di attenzione: collezionate le domande vere dei vostri figli, quelle fatte di punto in bianco o derivate da un momento tutto loro di pura concentrazione. Quando ne avrete colte almeno una decina, rileggetele tutte insieme e scavateci dentro. Avrete davanti la lettera più autentica che potrete mai ricevere dal loro mondo interiore.
Questo è il 43esimo numero di Padri in formazione, siamo 4 papà e ogni due domeniche ci ritagliamo un momento per riflettere su cosa significa per noi essere papà nuovi. Questo numero nasce dalle domande più intime e profonde dei nostri figli, con cui scandagliano e plasmano il loro mondo interiore. L’idea è del nostro Bisanti che firma l’editoriale e invita tutti noi a un esercizio collettivo su cui ritorneremo a settembre del 2025. Come sempre, buona lettura!
Briciole
di Antonino Pintacuda
Seguo le briciole dei “totti” che lasci in giro per casa, non so se ti piacciano davvero gli Oro Saiwa o adori semplicemente il rituale di te che salti dal letto già rampante nell’orario in cui il sole deve ancora far capolino sulla città.
La casa è stravolta, abbiamo perfino scoperto come sfoderare il divano a tre anni dall’acquisto per lavar via le tracce inequivocabili del tuo passaggio ed eccoci che in questa vita nuova una serie di oggetti vecchi e nuovi riacquistano nuove destinazioni d’uso.
Se mi volto indietro mi ritrovo sulla lista nascita, vorrei poter tornare indietro e rifarla ex novo, scacciando via l’inutilità di dondolini, sdraiette e lettini per il co-sleeping. Sei passato direttamente dalla tua amata navicella - in cui sembravi Kal-El appena trovato dai Kent a Smallville - al lettone, senza passare dal via. Poi abbiamo trovato un giusto compromesso. Quando ti addormenti, sfinito da una giornata di meravigliose avventure, cerco di spostarti in modalità Mission Impossible, senza fare il minimo rumore, tenendoti in equilibrio e sentendo la tua fisicità ogni giorno aumentare.
Conosci già più di un migliaio di parole, ma sei nella fase di risparmio energetico in cui si vede la tua faccia e le tue sopracciglia piegarsi a punto interrogativo perenne per cercare di capire come legarle assieme. A volte imiti il nostro tono, le nostre movenze, facendo discorsi in una lingua tutta tua. Quindi, visto che non ho (ancora) aneddoti da raccontare sulle domande che verranno, gioco d’anticipo e ti rispondo a quelle che (forse) un giorno mi farai.
Sì, anche il tuo papà è stato piccolo come te e in quegli anni lontani lontani le tv non erano piatte e grandi come queste di adesso, erano panciute proprio come me, quadrate e ti rovinanavano pure gli occhi. No, non c’erano manco i telefoni cellulari. Come siamo riusciti a incontrarci con i nostri amici senza whatsapp e senza la reperibilità costante che esso comporta è uno dei grandi misteri dell’umanità.
Sì, so tutto su Harry Potter perché c’ero già ai tempi in cui, ancora prima dei vari film che sarebbero arrivati al cinema (una specie di Netflix collettivo che si faceva al buio mangiando popcorn), aspettavamo i libri, mi ricordo pure l’apertura delle librerie alla mezzanotte di quel lontano gennaio del 2007. 15 anni prima della tua nascita! Ho aspettato l’apertura dei pacchi giganti che contenevano migliaia di copie dell’ultimo volume insieme ad altri fan del maghetto con la cicatrice. Non preoccuparti, li rileggeremo insieme e rivedrò tutti e otto i film volentieri per la milionesima volta con te. Sì, spero che anche tu ti appassionerai al mondo magico.
Leggevo i fumetti dei supereroi prima che diventassero i protagonisti di tutti quei film che ci rivedremo assieme, quindi non preoccuparti, ti spiegherò tutte le connessioni e anche le cappellate degli sceneggiatori quando decisero di introdurre il concetto del multiverso, mandando in vacca quanto di buono fatto sino ad Avengers Endgame.
Sì, la domanda più grande, come sono riuscito a incrociare la strada con mamma, innamorarci, affrontare salite ardite e discese nell’abisso e uscirne sempre insieme… La mamma è un grande dono di questa vita. La risposta non ce l’ho. Sì, credo anche io che sia stato un meraviglioso miracolo.
Ci sono tante cose che non so, molte delle risposte che non avevo le ho beccate sfogliando Focus e leggendo quintalate di libri quando ero alle medie, al liceo e all’università.
Che lavoro faccio? Guarda, non vedo l’ora che lo capisca tu per spiegarlo con parole semplici anche alla nonna.
Mentre scrivo queste risposte a domande che forse arriveranno e forse no, hai appena scoperto gli Oreo. Ho visto che faccia hai fatto quando, dopo l’iniziale diffidenza, l’hai addentato. Sì, sono anche i miei biscotti preferiti!
Pennellate
di Marco “Zak”
Andando alla radice di un ruolo paterno, c’è l’educazione. Il tema è complesso, e meriterebbe più di qualche parola, ma se vogliamo tagliare con l’accetta i ruoli di un genitore, ci sono l’accudimento e l’educazione. Il primo è “materno”, il secondo “paterno”. Il che non vuol dire che le mamme debbano limitarsi al primo e i papà al secondo (anzi!), però siamo tutti d’accordo nel riconoscere che un papà che accudisce rischia ancora di essere chiamato “mammo” (mentre le mamme qui sono più fortunate). Se quindi vogliamo dividere il ruolo genitoriale fra immanenza e trascendenza, da una parte si cambiano i pannolini e si prepara la pappa, dall’altra si risponde alle domande.
Ora, in tutto questo c’è un problema: perché se io cambio un pannolino o preparo la pappa è chiaro che sono io che mi prendo cura di qualcun altro, e i rapporti di potere sono ben definiti.
Ma nel momento in cui i nostri figli ci fanno domande serie perché non abbiamo la sensazione di essere dei docenti, ma di nuovo degli studenti chiamati alla cattedra per un’interrogazione?
Non si smette mai di imparare
di Alessandro Buttitta
Incredibile come, entrati nella fase della pubertà, smettano di porre e porsi domande in maniera esplicita. Sarà che cercano le risposte ai loro punti interrogativi al riparo da occhi indiscreti, lontani dal giudizio altrui, sicuri di non risultare né goffi né inopportuni. Sta di fatto che i ragazzi, una volta passati gli undici anni d’età, forse anche prima in alcuni casi, non hanno più la curiosità, la sfacciataggine e l’intraprendenza che avevano da bambini.
Un passaggio inevitabile della crescita – siamo stati tutti così, fa parte delle stagioni della vita – che mi lascia sempre un po’ di amaro in bocca al netto delle ovvie considerazioni. I ragazzi nascondono, soffocano i loro punti interrogativi in un’indifferenza che riusciamo raramente a scalfire. Lo percepisco in classe quando affronto temi a loro cari abbozzando risposte a domande che non mi hanno direttamente posto. Lo vedo nei giri di parole che utilizzano per arrivare al dunque di questioni per loro importanti. A scuola insisto nel dire quanto sia necessario fare le domande in modo corretto. Basta essere consapevoli che non disponiamo di tutte le risposte di cui abbiamo bisogno.