Chissà se qui, sotto questa barba sempre un po’ più bianca, c’è ancora nascosto da qualche parte quel diciottenne che riusciva a dormire giusto un paio d’ore. Notte dopo notte, aspettando l’alba, discutendo di massimi sistemi con le bottiglie di birra in fila, lì, come soldatini sul tavolo di plastica dura di qualche localino del centro storico di Palermo. Gli vorrei dire: dormi! Dormi, stolto, per ora che puoi! Perché in quella meravigliosa e lacerante avventura della genitorialità nessuno te lo spiega davvero che capirai davvero cos’è la stanchezza solo quando avrai un figlio.
Tra uno scatto di crescita e l’altro, stiamo veleggiando verso i 18 mesi di Federico, il piccolo gaglioffo ci tiene in pugno con i suoi sorrisi sempre più consapevoli, con la sua crescente voglia di indipendenza che trasforma ogni pasto in una guerra tra cucchiaini, perché vuole - giustamente - mangiare da solo, facendo decollare in giro per la casa proiettili di pastina che ci ritroviamo dovunque. In queste settimane per lavoro ho seguito il lancio del nuovo report di QUID+ dedicato proprio alle “sfide della genitorialità”, (disponibile qui) il quadro che emerge dal nuovo sondaggio che ha coinvolto la community di genitori che segue la collana editoriale di Gribaudo, è uno spaccato in cui rivedo tutte le difficoltà a cui teniamo testa.
Il 77% dei partecipanti pensa che i genitori di oggi vivano in ansia per le difficoltà finanziarie, ma anche organizzative, legate direttamente alla gestione della famiglia.
«Siamo genitori equilibristi, figli di generazioni che hanno certamente vissuto contesti molto diversi dai nostri; genitori in un mondo in cui è spesso essenziale e vitale per entrambi lavorare a tempo pieno. Siamo adulti che sentono il bisogno di stare il più possibile vicini ai propri figli, dando loro il meglio, offrendo quante più possibili occasioni di crescita ma, allo stesso tempo, genitori che si scontrano con l’impossibilità economica e organizzativa di gestire tutto», sottolinea Sara Ghirelli, Parent Coach, uno degli esperti di QUID+ che ha analizzato le risposte del report.
«La genitorialità regala momenti di grande soddisfazione, ma può presentare svariate sfide legate alla crescita psicofisica dei bambini. Anche se ciascuna famiglia affronta questi passaggi con un personale livello di turbamento, è normale sperimentare momenti di frustrazione, sino ad arrivare a veri e propri mental breakdown. È importante, allora, recuperare qualche nozione teorica che non promette di eliminare il problema, ma aiuta a far luce sui bisogni impliciti dei bambini, che si nascondono dietro alle loro difficoltà. Le situazioni più complesse da gestire per i genitori sembrano essere quelle legate al cambiamento e alla spinta evolutiva che conduce i piccoli verso l’autonomia e l’autodeterminazione», aggiunge Sabrina Verzelletti, Psicologa clinica e di area neuropsicologica.
Mai pensato che sarebbe stata una passeggiata, ma a volte e non ho vergogna a scriverlo, è davvero dura. Ti senti sbagliato, in balia di un’altra notte funestata dall’ennesimo risveglio notturno. Vorresti soltanto riavere quel diritto anche alla noia che avevi prima. Proviamo a ritagliarci un nostro spazio, per noi e per loro, per avere l’energia mentale per tener testa a quei piccoli instancabili terminator.
Lascio la chiusa al nostro Bisanti: «Si parla sempre dell’amore dei genitori per i figli, con tutta la retorica annessa. Ma chi si accorge apertamente di quanto ci amano i piccoli che accudiamo?».
Questo è il 38esimo numero di Padri in formazione, siamo 4 papà e quasi sempre ogni due domeniche (come questo numero che esce di lunedì) ci ritagliamo un momento per riflettere su cosa significa per noi oggi essere padri, concentrandoci su momenti che altrimenti fuggirebbero via, alla luce di quello che andiamo sperimentando con i nostri figli.
Padri_e lettere
di Marco Bisanti
Sabato scorso Arturo ha deciso di fare delle formine con la plastilina colorata da regalare a me e a sua madre. Dopo un po’, l’alto silenzio che lo impegnava nella stanza è stato rotto da un pianto improvviso. Pensavamo si fosse fatto male. Andando da lui già pronti a intervenire, lo troviamo invece in lacrime sulla testa staccata del pupino che aveva composto. Singhiozzava, il regalo per la mamma era distrutto e lui era inconsolabile, ci teneva moltissimo. Così, ci si è rotta una diga di tenerezza nel cuore e abbiamo iniziato a rassicurarlo. Il giorno dopo, cercando di capire cosa fare della domenica piovosa che ci teneva serrati in casa, ha deciso di non disturbarmi mentre leggevo ma, anzi, di imitarmi. Ha preso un suo libro, si è messo accanto a me e finalmente ho capito cosa lo aveva convinto: la matita che avevo per sottolineare. Anch’io voglio scrivere sul libro come te. Così, per oltre mezz’ora, io e il mio bimbo che non sa ancora leggere siamo stati accanto zitti sul divano a sottolineare solo le parti che mi piacciono di più. La plastilina per la madre e la matita per il padre mi hanno fatto capire come uno schiaffo in faccia quanto sia immenso l’amore che ha per noi. Si parla sempre dell’amore dei genitori per i figli, con tutta la retorica annessa. Ma chi si accorge apertamente di quanto ci amano i piccoli che accudiamo? È un amore totale che porta il loro desiderio a estremi tentativi di mimesi – nello spasmo di essere noi – e a fare questione di vita o di morte sulla creazione di un regalo – iniziativa gratuita e personale. Se l’amore dei genitori si dà per scontato (in modo non del tutto fondato, tra l’altro: scontato è il legame, non il sentimento), l’amore dei figli per i genitori è spesso “impallato” da oggettive questioni di dipendenza funzionale. Per cui, spesso la fatica e le altre incombenze ci fanno pensare a loro solo come insaziabili agenzie di richiesta. Invece, guardando oltre le necessità loro legate a sopravvivenza e crescita che, chissà, forse usiamo proprio come schermi per non restare accecati da questa epifania, a un adulto può risultare spaesante e fare quasi paura accorgersi davvero di essere così tanto amato. Una paura che bisogna anche imparare ad accettare.
Non si smette mai di imparare
di Alessandro Buttitta
Se siete un po’ giù perché non avete tempo per voi e cercate informazioni in rete sul vostro stato d’animo, può capitarvi di imbattervi in definizioni di parental burnout, stress genitoriale, stanchezza cronica dovuta al cosiddetto time pressure. Saranno tutte teorie comprovate da dati empirici che ricercatori americani avranno raccolto con zelo e scrupolo. Nessuno lo mette in dubbio. Tuttavia, mi sfugge sempre qualcosa quando leggo di simili studi o mi soffermo nell’analisi delle più varie definizioni. Difatti, dal mio punto di vista, essere genitori è ontologicamente stancante. E, scrivendo queste parole, mi rendo conto che non usavo l'avverbio “ontologicamente” dai tempi del liceo, il che mi fa pensare a un’altra condizione ontologicamente connaturata, quella dell’adolescente confuso e disorientato, in balia degli ormoni.
Credo molto semplicemente che non si possa essere genitori se non si sente stanchezza nel corpo e nell’animo. Credo ancor di più che ogni nostra relazione, per essere definita realmente autentica, debba attraversare le fasi della stanchezza. La stanchezza dà valore a ciò che facciamo e proviamo. Siamo noi, uomini e donne che viviamo distrattamente nel XXI secolo, che oggi diamo molto spesso una connotazione negativa alla stanchezza. La stanchezza dei genitori molto spesso deriva dall’incapacità di dedicarsi ad altro - una passione, un hobby, un sonno ristoratore, la condivisione di un momento con le persone che amiamo o che vogliamo bene - perché impegnati nell'attività più difficile al mondo: donarsi incondizionatamente senza chiedere nulla in cambio. Ontologicamente complicato, vero?
Bellissime testimonianze di vita reale. Mi ritrovo in tutto con i vostri racconti, tra sottili equilibri, momenti di instabilità, dimostrazioni reciproche di amore ed esaurimenti fisiologici. Siamo nella stessa barca. Un abbraccio.
Da equilibrista, tanta tanta immensa solidarietà. Grazie per la condivisione della vostra stanchezza genitoriale ❤️