Mamma, oggi è la tua festa: come ti senti?
«Assonnata ma felice, tra i calci che Federico mi dà mentre dorme e i baci che mi dà quando si sveglia».
Cambia tutto. Vero?
«Rinasce tutto, per essere più precisi. Tutto è sempre stato lì… ha solo un altro significato».
Cosa significa per te essere mamma?
«Essere un’equilibrista alla ricerca della cosa giusta da fare, con la costante sensazione che possa mancare qualcosa. E la conseguente costante ricerca di questo qualcosa. Come mamma mi sento sempre in moto verso un modo migliore di essere e di fare».
Sembra una ricerca continua di completezza, senza mai raggiungerla. Non fa male?
«Mi dissocio dall’immagine stereotipata della mamma come persona votata al continuo sacrificio. Un’immagine purtroppo spesso dilagante sui social, che drogano il concetto sociale di maternità. Ma sono anche certa che ogni genitore ha in mente tante domande. Riconosco che cerco sempre di pensare a come potrei fare meglio quello che faccio per mio figlio».
C’è qualcosa che ti manca della tua vita “di prima”?
«Solo la libertà di fare ciò di cui ho voglia o bisogno, nell’esatto momento in cui ne ho voglia o bisogno. Quando si hanno figli piccoli il tempo cambia di senso, il loro benessere viene prima del tuo e dipende da te. Ho capito però anche che se io non sto bene non potrà star bene nemmeno il mio bimbo. Quindi che l’organizzazione può essere una grande amica, per far sì che le priorità non schiaccino i bisogni».
Come si fa a far tutto? Come si riesce a tenere insieme i pezzi in questa folle vita costantemente squilibrata?
«La prima risposta che mi viene in mente è che in realtà non ci sono alternative, solo lunghe giornate impegnative che si susseguono, nello scorrere veloce dei mesi. Poi la verità è che non è mai tutto in equilibrio sempre, e forse non deve esserlo. Penso sia giusto scegliere chi si vuole essere come genitore, come figlio, come amico, come compagno e come lavoratore… e tendere il più possibile a quell’idea senza fare della fatica un alibi. Nel percorso ci saranno molte cadute, inevitabili. Imparare ad accettarle e a rialzarsi sarà di esempio per i nostri bimbi».
Numero speciale questo qui che esce in occasione della festa della mamma, in questo maggio in cui la primavera si è nascosta tra rantoli di un inverno infinito e giorni di calura estiva. Questo numero è per le mamme e anche per noi, per capire dove stiamo andando e, soprattutto come stiamo affrontando questo percorso. Abbiamo chiesto per questo a una mamma di raccontarsi.
Questo è il 36esimo numero di Padri in formazione, siamo 4 papà e ogni due domeniche (salvo imprevisti) ci ritagliamo un momento per riflettere su cosa significa per noi oggi essere padri, concentrandoci su momenti che altrimenti fuggirebbero via, alla luce di quello che andiamo sperimentando con i nostri figli.
Fare il tè.
Mentre chiudevamo questo libro continuavano a rincorrersi emergenze: genitori in ospedale, adolescenti con le bizze, colloqui con i professori dei figli, raucedini, trasferte improvvise, esami medici da incastrare tra un articolo e l’altro, compleanni da organizzare, speciali e interviste da sfornare, una corsa al pronto soccorso, una lavatrice che ha fatto allagare casa. Ci è sembrato spesso di soffocare, ingolfate.
Un giorno ci siamo imbattute in un post di Labodif, il laboratorio di ricerca, formazione e consulenza fondato dall’economista Giovanna Galletti e dalla scrittrice e regista Gianna Mazzini. Una mamma raccontava del consiglio di un’amica che si occupa di progetti educativi e aveva appena lavorato con un gruppo di donne con neonati: «Bisogna non fare, – mi diceva – bisogna non proporre. Noi siamo bombardate di decaloghi della buona madre, dal primo momento che restiamo incinte. Il pediatra, il ginecologo, l’esperto. Io invece vado, le accolgo. E faccio il tè. E lì, sollievo».Fare il tè ci è parsa la metafora giusta: lo «spazio vuoto del non fare, insieme ad altre». Un rituale del fermarsi per ritrovarsi, in armonia, rispetto e semplicità. Sono questi, in fondo, i tre principi che ci hanno spinto a scrivere di madri, in un tempo in cui intorno alla maternità si consumano scontri culturali senza esclusione di colpi, come se avessimo bisogno di nuovi steccati tra le donne invece di vigorose (e furbe) alleanze.
dall’introduzione di “Mamme d’Italia” di Monica D’Ascenzo e Manuela Perrone
Padri_e lettere
di Marco Bisanti
Ieri ho preso dalla piccola libreria di mio figlio il già letto e riletto Che rabbia! Non per lui, ma per me: non ricordavo come si risolve la vicenda, come fa Roberto a placare la sua furia, e avevo un bisogno personale di riferimenti. Sono giorni che per vari motivi rifletto sul tema della rabbia, in me e nella società, vasi comunicanti nell’intero mondo squilibrato. Oggi ricordo un altro libro, segnalato tempo fa da Camilla Stellato: La rabbia delle mamme, summa delle esperienze della psicologa Alba Marcoli in gruppi di lavoro con genitori e educatori. E mi chiedo: perché non parlare della rabbia anche dei padri? Non è una gara, beninteso. La rabbia è rabbia, i figli ne vivono comunque solo gli effetti. Benché possa nascere da fattori diversi, raggruppabili per genere, ruoli e categorie, e avere esiti più o meno standardizzabili, i bambini davanti ai quali o, peggio, sui quali liberiamo la nostra rabbia non se ne chiedono l’origine. Fatica, depressione, senso di inadeguatezza, incomprensione, frustrazione, sono vissuti anche dai padri. Tuttavia, per ragioni storiche (drammatiche, sovvertite dal miglior femminismo), siamo forse meno esposti delle donne all’idea di essere “cattivi padri” quando ci arrabbiamo. Il fatto che ancora, in ognuno di noi, la nostra ira non rimandi culturalmente (in automatico cioè) a un’autovalutazione genitoriale ci fa spesso dimenticare di interrogarne i segni, a beneficio di chi stiamo crescendo. Il mondo, di cui siamo il primo vaso comunicante per i nostri figli, ci chiede ogni giorno una forma variabile di potatura personale, promettendo chissà che, senza darci mai acqua per la fioritura. Da qui, spesso, una rabbia nuova, l’ira pietosa dei rami seccati. Il fatto che essa si debba a fattori esterni alla famiglia, in momenti in cui il corpo usa la grammatica della rabbia per esprimere una fragilità, non ci esime dal dovere di comprenderla. E deve farlo chi non vuole essere con i suoi figli come il mondo è con lui. Forse è vero che, volenti o nolenti, i genitori sono il trauma storico principale di ogni figlio, trauma attorno al quale – uscendo dall’età evolutiva – ognuno sviluppa in seguito il bene e il male del suo adattamento creativo alla vita, luce e tenebra nel consolidarsi di un’identità unica. Rifacendomi allora a un’idea organica, vivificante e linfatica di relazione coi miei figli, io voglio, io devo andare al fondo della mia ira tagliente e, quando lei investe pure loro, non esporli mai a una potatura senza tenere già nell’altra mano l’acqua che potrà farli fiorire. Così come il caos provocato da una rabbia fuoriuscita da lui, e per ciò stesso anche da lui separata, fa tornare Roberto in sé: alla cura dei suoi amati.
Non si smette mai di imparare
di Alessandro Buttitta
Appunti sparsi su ciò che i papà, se focalizzati, possono imparare dalle mamme.
La pazienza, il balsamo delle coccole alla fine di una lunga giornata, l'attenzione per i più piccoli dettagli, la capacità di mettere sé stessi in secondo piano. La scelta tra le priorità, soprattutto. L'amore incondizionato, lo sguardo stanco ma tenace, lo sguardo felice ma sempre premuroso. Le soddisfazioni per i piccoli e grandi traguardi raggiunti; le ombre sul viso quando il mondo non gira secondo i desideri e le aspettative che custodiamo dentro la testa e il cuore. La determinazione nel raggiungere i propri obiettivi, che sia un bagnetto o la sistemazione della camera o la scrittura delle prime letterine. Le parole, le tante parole: sillabe su sillabe che diventano frasi, frasi che diventano pensieri e dichiarazioni di intenti, dichiarazioni di intenti che si tramutano in esempi e modelli di comportamento. La ricerca costante di energie e risorse. L'esserci sempre, in qualsiasi momento.
Scaffale
“Attraverso La mia mamma. Tutto quello che lei è per me, ho voluto dar vita a una vera e propria esperienza personalizzata per ogni famiglia. Le pagine del volume sono progettate per essere un'opportunità unica di connessione. Grazie agli spazi da completare insieme, ogni esemplare diventa unico, riflettendo le caratteristiche diverse di ogni nucleo familiare. Questo libro diventerà un tesoro di emozioni, testimoniando il legame speciale che solo un genitore può avere con il proprio bimbo. Scegliete per compilarlo insieme uno spazio confortevole libero da “distrazioni”, come per esempio TV, radio, cellulare ecc. Sarà un tempo esclusivo per voi, da dedicare alla lettura e alla compilazione del libro: diventerà una sorta di routine, di appuntamento quotidiano e imperdibile per celebrare la crescita del vostro bambino e la crescita della vostra relazione con lui”. Commenta Barbara Franco, ideatrice della collana QUID+ e autrice del libro.
QUID+, la collana edita da Gribaudo, presenta La mia mamma. Tutto quello che lei è per me, un libro davvero unico, di cui non esisterà mai una copia uguale all’altra; unico come è il rapporto tra madre e figli che viene celebrato pagina dopo pagina, ognuna da completare insieme, tra note e disegni.