1.
- Papà, mi racconti la storia di domani?
Così Arturo stamattina a colazione. Lo guardo in estasi e impotenza farfugliando non so che. Presto capisce che deve ripiegare su una cosa più a misura dell’adulto scemo che sono.
- Che facciamo oggi?
Abbozzo un programma più o meno definito, ma la fame di storie non si estingue. E ci riprova.
- Eh, papà… mi racconti la storia di ieri?
Per sanare l’impreparazione iniziale avvio un racconto pieno di dettagli sulle tante cose fatte e le persone incontrate ieri. Potrei non finire mai, dilato ogni particolare con considerazioni e rimandi ad altre esperienze condivise che tessono un reticolo coerente e sensato, un pezzo di mondo, il nostro, quello di tutti, sono il Proust di famiglia, l’Omero del giorno dopo.
Resta il desiderio di conoscerla anche io, questa storia di domani. E la netta sensazione che la prima domanda, quella vera, fosse un altro modo, davanti alla tazza di latte, per chiedermi – com’è giusto e sacrosanto provarci, senza saperlo nemmeno lui – papà, ma io chi sono?
2.
Tu sei quello che non vedo, il mio esercizio di fiducia.
All’inizio tutto dura sette secondi. Sette secondi di fiducia: è il tempo che ci mette Arturo in bici a passare dietro il ficus magnolia di villa Garibaldi, qui a Palermo dove siamo tornati per l’estate. Dopo un divieto e un permesso di allontanarsi ancora un po’, alla fine gli ho concesso di fare tutto il giro dell’albero. Per sette secondi non lo vedo. Poi riappare dall’altra parte: felice lui, felice io. Il mondo ha continuato a girare, lui è andato senza l’aiuto di nessuno – nessuna maestra, né baby-sitter, né parente o amico: solo – e noi siamo quelli di poco fa, di nuovo insieme. Guardo il ficus: sette secondi sono un tempo ridicolo per il passo degli alberi, mi dico. Ma la verità è che sette secondi, presto, saranno ridicoli anche per me. Con la sua crescita, diventeranno ore giorni settimane mesi quelli in cui non lo vedrò più, come i miei non mi vedono più nel quotidiano della nostra vita a Roma. Tutto inizia da questa prova superata di fiducia, da questi sette secondi.
Sei quello che non vedo, amore. La storia di domani parla di questo: la mia fiducia in te. Che poi, pensandoci, significa solo restituirti quello che già tu mi dai. Tra noi due, il primo che ha messo fiducia sei tu. Me l’hai ricordato l’altro giorno, quando ti ho salutato dicendo ciao, amore, a fra poco. E tu: a fra poco anche a te! Gli adulti credono di essere loro a lasciare i figli e poi tornare. Ma è un movimento reciproco, fin dall’inizio. Benedetto chi non si oppone a questa danza.
3.
Questa estate ho letto finalmente Il sentiero dei nidi di ragno, primo romanzo scritto dallo scoiattolo della penna, Italo Calvino, a ventitré anni. Amore massimo per ogni passo e dettaglio di cui potrei parlare. Qui metto solo a fuoco il cuore della danza che vorrei imparare coi miei figli. La chiusa del quarto capitolo: in mezzo al bosco, il giovane Pin incontra Cugino che gli fa (secondo me) la domanda delle domande:
- E adesso dove vuoi andare?
- Non lo so, – dice Pin.
- Tu dove vai?
- Io vado all’accampamento.
- Mi ci porti? – dice Pin.
- Vieni. Hai mangiato?
- Ciliegie, – dice Pin.
- Ben. Tieni del pane, - e tira fuori di tasca il pane e glielo dà.Ora camminano per un campo d’olivi. Pin morde il pane: ancora qualche lacrima gli cola per le guance e lui la inghiotte assieme al pane masticato. L’uomo lo ha preso per mano: è una mano grandissima, calda e soffice, sembra fatta di pane.
Vorrei questo per i miei figli, per la nostra danza: avere una mano fatta di pane.
4.
Spesso la mia mano di pane è una musica. Arturo ogni tanto mi chiede di cantargli le canzoni che ho fatto per lui fin dalla nascita. Quest’anno siamo stati in montagna, sulle Dolomiti, come ogni anno. Era la prima volta di Adele però. Nell’importanza di questo fatto, così, mentre la addormentavo mi è venuta una canzone. Ricopio il testo ben sapendo che il lievito di ogni testo cantato è la melodia, la musica, la mia mano di pane che qui non si può udire. Accontentiamoci della sua ombra:
Adele delle montagne
lei parla con le piante,
i geni del bosco
non sanno com'è
arrivata qui.
Che sia dal cielo turchese
tra l'aquila e le ardesie,
ma lei vola solo
per mano a papà,
e già era qua.
Dal fiume allora gelato
pescetto colorato,
ma lei nuota solo
con mamma, si sa
arrivata già.
Forse dal prato abbagliante
bestiola fra le tante
“ma non ha le zampe”
il fratello dirà,
che già era qua.
Adele delle montagne
il sole la sorprende,
rugiada ricopre
la via che l’ha
portata qui.
5.
Se riesco a cavare qualcosa di buono da me per i miei figli è perché anche io sono stato bambino e ho stretto mani di pane. Il transito all’età adulta ci fa dimenticare però quasi sempre il mondo come lo vedevamo con gli occhi di allora. Curiosi per tutti i misteri che i grandi non ci dicevano. Concludo perciò questo numero, con un passaggio da Libretto di transito, gioiello della poeta Franca Mancinelli, che saluto con affetto onnipresente. Ricopio questo testo perché fissa una mia esperienza di bambino in una villa del messinese, quando ancora tenevo strette più mani di pane, davanti al mare delle isole Eolie. Fa così:
In giardino le auto dei grandi restano aperte, a volte con la chiave inserita nel cruscotto. Puoi entrare e sederti nel posto di guida, portare tuo fratello nel sedile di fianco, gli amici dietro, oppure partire da solo, girando il volante alle curve, un po’ a destra e un po’ a sinistra, premendo il pedale del freno o dell’acceleratore, guardando dallo specchietto quello che resta alle spalle.
Di fronte, una stessa immagine ferma: le foglie del tiglio che si aprono alla luce, i piccoli occhi rotondi dei cocoriti in gabbia.
Buon transito estivo, cari. Aspettando un autunno lungo e mite.
Marco
Questo è il 40esimo numero della nostra newsletter, oggi siamo in 310.
Come ogni estate, abbiamo rallentato il ritmo. Questo è il primo speciale estivo monografico, ne seguiranno altri prima del ritorno alla nuova normalità di settembre, quando la luce della sera cederà sempre prima il passo alle ombre che si allungheranno sul selciato che ci riportaa a casa. Non potevamo che iniziare con il nostro poeta Marco Bisanti che ci racconta la storia di domani nell’attesa dell’autunno lungo e mite che speriamo ci aspetti dopo questa estate arroventata. Prendetevi anche un po’ di tempo per voi e per la vostra metà. Questo viaggio nella genitorialità è una lunga maratona che necessita di gambe buone e polmoni robusti.
P.S. Vi chiedo scusa per eventuali refusi, sono colpa mia, non del mio piccolo aiutante!
Come ogni pane che si rispetti, Le Mani di Pane nascono all’alba nelle prime ecografie in cui intravedi in una sfocatura un volto perfetto; nelle notti insonni quando, superato il primo shock psicofisico, ammiri il respiro lento; nelle albe che non arrivano mai, dopo le prime serate in discoteca. Siamo padri, siamo fornai, siamo persone alla ricerca di quella giusta distanza tra l’esserci e il non esserci.