«Papà, ma tu ti senti vecchio o giovane?».
62. Riflessioni estive sulla verità che ti tiene a galla.
1.
«Papà, ma tu ti senti vecchio o giovane?».
Agnese mi fa questa domanda, in piscina. Si muove in acqua senza braccioli.
«Dipende», rispondo. «Mi sento vecchio tra i giovani e giovane tra i vecchi».
Agnese, che sta imparando a nuotare, a rimanere a galla, mi guarda.
«Papà, decidi. Non usare sempre questi giochi di parole con me».
2.
Colpito e affondato. Resto lì, con il mio sorriso, stavolta un po’ più tirato. La mia risposta arguta che galleggia, inutile, nell'acqua clorata della piscina. Io, l'adulto pieno di sfumature, il papà che relativizza, il prof che prova a orientare e a orientarsi nella complessità del reale. Tutta questa architettura di pensiero, tutta questa affascinante dialettica, ridotta al silenzio da una richiesta disarmante: «Decidi».
Perché mia figlia, sette anni, non sa che farsene della mia elusiva ironia. Anzi, la rifiuta. In questo momento, lei non ha bisogno di un padre che le mostri quanto è complicato il mondo. Ha bisogno di un punto fermo. Mentre il suo corpo impara a fidarsi dell'acqua, a trovare un equilibrio precario per non affondare, lei cerca un appiglio emotivo, una coordinata identitaria a cui aggrapparsi. Io, invece di offrirle solidità, le offro altra acqua, un’altra piccola onda di parole su cui oscillare. La mia evasione, il mio elegante gioco linguistico, per lei è solo un'altra spinta che la allontana dalla sicurezza. Per me è senz’altro il modo più sofisticato per non rispondere davvero.
3.
Mi sa che il gioco di parole in piscina non sia un caso isolato. È un sintomo. Mi accorgo di quanto spesso noi adulti – e io per primo – ricorriamo a un linguaggio cifrato quando parliamo con i bambini. È una tendenza che si manifesta con forza di fronte ai grandi temi: la morte, la nascita, le crisi familiari o le difficoltà della vita. Di fronte a queste soglie, il nostro linguaggio si fa improvvisamente obliquo, metaforico, quasi timoroso. Preferiamo costruire narrazioni su narrazioni – ah, maledetto storytelling – per smussare gli angoli della realtà.
La giustificazione è nobile: proteggere i nostri figli, i bambini in generale, da una verità troppo cruda. La domanda da porsi, con onestà, però è un’altra: stiamo salvaguardando loro o stiamo mettendo al riparo noi stessi? Talvolta, la loro richiesta di verità ci espone troppo. E così, anziché fornire strumenti per comprendere il mondo, rischiamo di insegnare a diffidare delle parole, creando una frattura tra la verità emotiva che i bambini percepiscono e le storie edulcorate che offriamo.
4.
Il silenzio ora è denso. La guardo. Aspetta una risposta, non un'altra battuta. E capisco che devo trovare una parola vera, una parola che sia mia. Non più un gioco. Un papà “giovane” avrebbe risposto subito, magari ridendo. Avrebbe scelto una delle due maschere: o quella del giovanilista a tutti i costi o quella del vecchio brontolone per scherzo. «Sono giovane!». «Certo che sono vecchio!». Risposte facili, etichette che chiudono la conversazione e rimettono le cose a posto.
Un papà “giovane” non si sarebbe fermato a pensare come mi hai costretto a fare tu. Non avrebbe dedicato tutte queste parole a una domanda del genere. Quello, Agnese, lo fanno i papà “vecchi”. I papà “vecchi” si fermano. Si lasciano smontare da una domanda di una bambina di sette anni e poi, con la pazienza che soltanto il tempo fornisce, provano a rimettere insieme i pezzi. Si prendono la fatica di cercare una verità, anche se scomoda, anche se difficile da spiegare. Una verità che tiene a galla, che serve a nuotare anche se le uniche onde che ci sballottano sono quelle dei nostri pensieri.
Questo numero speciale della newsletter, interamente firmato dal nostro Alessandro è così: diretto, disarmante, senza salvagente. Parla di tutte quelle volte in cui, davanti ai bambini, cerchiamo di nasconderci dietro parole smussate, metafore e paroline imbustate nella gommapiuma. Diciamo che è per proteggerli. Ma a ben vedere – occhio al colpo basso – forse stiamo proteggendo noi stessi.
Perché quando un figlio ti chiede una verità, anche piccola, non cerca il papà che svicola col sarcasmo da quattro soldi o che si arrampica sugli specchi delle sfumature. Cerca te. Una versione vera di te. Magari imperfetta, magari pure un po’ stropicciata, ma vera.