Bentornati, questo numero nasce da una semplice coincidenza. Mentre mi recavo al primissimo colloquio coi genitori all’asilo nido dove va il piccolo di casa, mi ha investito un ricordo così nitido da farmi vacillare per un istante infinito.
Mi sono ritrovato scagliato in quel febbraio del 2000, avevo 18 anni appena compiuti, i capelli a mezzo collo e tante baggianate a riempirmi la testa tra le basette, lì nella piccola città eterna dove sono cresciuto in provincia del nulla. Mia madre era il link presente e costante con la scuola, mio padre dopo le elementari in cui era il mio gigante in divisa, iniziò a diradare la sua presenza. Uomo squadrato e concreto, si sentiva in difetto al liceo, lui che si era arruolato subito dopo l’avviamento professionale. Per una strana coincidenza mia madre non era disponibile per andare a quell’incontro coi professori e così mandò lui come supplente. Andò due volte nello stesso pomeriggio, la prima parlò coi docenti di un’altra classe, la seconda solo con il professore di educazione fisica. Che con tutto il bene, per il professore Di Cristina, noi che manco avevamo la palestra, di educazione fisica ne facevamo davvero poca. Un anno arrivammo perfino a farci ospitare dalla bocciofila confinante. Così, quando papà tornò, lo tempestai di domande per sapere se i miei sforzi nell’anno del diploma erano andati a buon fine. Sorvolo sulla delusione per la performance di mio padre. Quanto tempo perso e quante arrabbiature inutili! Ci accorgiamo sempre troppo tardi che il tempo che ci è concesso è sempre troppo poco. E ora darei tutto, per rivivere diversamente quello e tanti altri momenti simili.
Ora che sono padre anche io capisco il suo amore senza limiti per me e per mia sorella, comprendo la sua voglia di non deluderci, la sua ansia da prestazione, il suo legittimo orgoglio per quel figlio che era così diverso da lui. Quando il piccolino si abbandona e si fa vincere dal sonno, sento il suo respiro cambiare, le sue dita cercano il mio respiro, per avere la certezza che io sia ancora lì. Con la stessa ferma convinzione che mi fa pensare, giorno dopo che giorno, che nonno straordinario sarebbe stato mio padre! Mio padre era del ’42, io sono dell’ottantadue, il piccolo è del 2022. Ci separavano e ci separano quarant’anni. Quarant’anni in cui mio padre aveva messo da parte cose che ad aggiustarle tutte ci sarebbero volute almeno cinque vite. Ripenso a lui, ai suoi sorrisi tra le rughe da apache, alle sue battute, al suo senso del dovere, al Tex perennemente letto alla luce fioca del comodino. Gli somiglio più di quanto avessi mai creduto possibile.
Questo è il 34esimo numero di Padri in formazione, siamo 4 papà e ogni due domeniche (salvo imprevisti) ci ritagliamo un momento per riflettere su cosa significa per noi oggi essere padri, concentrandoci su momenti che altrimenti fuggirebbero via, alla luce di quello che andiamo sperimentando con i nostri figli.
Padri_e lettere
di Marco Bisanti
Stavo spegnendo l’ultima luce, mi volto un attimo e vengo trafitto dalla vista di due macchinine sul ripiano vicino al lavello. Trovarsi padre e figlio accanto, nel caos in cui a volte si lascia la cucina andando a letto tardi, mentre tutti già dormono nell'altra stanza. Vederle accanto e capire: non sono solo macchinine, non sono solo giocattoli. Anzi sì, e siamo noi lo stesso. Fateci molto più caso al modo in cui i figli usano il loro mondo per seminare dichiarazioni d’amore. Io non ricordo bene che dichiarazioni materiche facevo a mio padre, da piccolo. La prossima volta che lo vedo – benedizione celeste poter usare ancora questa frase – lo chiederò a lui. Quello che ho invece è il suo amore, un calore che ha la memoria del sabato. Mio padre il sabato mi porta al cinema, costa ottomila lire (forse per me solo quattromila), tra gli altri film vediamo il primo Batman di Tim Burton. Va spesso in trasferta per il suo lavoro importante che non capisco e quando torna ha sempre un giocattolo da darmi: una macchinina, un robot mostruoso, un aquilone. Ogni tanto gli lascio un paio di Masters accanto al cuscino. La vita è semplice, è sempre sabato, io ho otto anni e sono una nave pirata; l’aria profuma di cortile, scambi di figurine e partite a pallone davanti ai garage, mentre papà è su a casa a riposare ma io sento lo stesso il suo sguardo su di me. Ed è per questo che la vita è semplice. Da qualche tempo, consumati ormai più decenni da quel mondo, sento su di me anche il suo odore. Anzi, sono proprio io. La mattina, nel letto della mia città lontana, lo riconosco: viene da me. Adesso, non so come, ho il suo profumo, la vita è ancora semplice e anch’io posso vantare una storia comune, perché il mio sguardo è sui miei figli. Una storia iniziata coi miei trentotto anni: io ne avevo già dieci a quell’età di mio padre. Ma la luce dei figli fonde ogni misura del tempo, formicolando per disporci alla muta. È l’eterno, l’eterno dei figli, e fa così
Mio figlio cresce, continua
a raccogliere atomi
del cosmo,
è l'umano tutto insieme
mio figlio, che io
gli conto partendo dal fiume
di storia che conosco:
andrà avanti poi
ben oltre la mia voce
lui, con il mio
passo nelle gambe lunghe,
l’odore mio
sulla sua pelle, la mia
notizia nel suo futuro aprile.
Non si smette mai di imparare
di Alessandro Buttitta
I sogni che non fanno svegliare.
Le grandi navi che sanno dove andare.
Il cimitero di lavatrici.
Banca e famiglia danno rendite sicure.
Con mia moglie si discute d’amore.
Così son diventato mio padre.
Ascolto La canzone del padre di Fabrizio De André da quando Agnese è venuta al mondo. Ci sono versi che, del tutto decontestualizzati, riecheggiano da sempre nella mia mente. Credo vadano a scandagliare zone del mio animo che non ho il coraggio di scandagliare fino in fondo.
Scaffale
Un flusso ininterrotto di memorie così privato da diventare storia simbolica del passato recente del nostro Paese. Un papà che nel giorno del compleanno del padre scomparso da un anno narra ai figli adolescenti di nonni e bisnonni. Sono quattro le generazioni a confronto in Storie di padri. Storie di figli di Andrea Polo, giornalista, comunicatore di professione che dopo diversi saggi è al suo esordio nella narrativa.
   Cosimo, capostipite e nonno del narratore, è padre di 11 figli dai quali si fa dare del Lei. È prima pastore nella sua Sardegna e poi ferroviere: li farà studiare tutti e 11, femmine comprese. " Ha fatto in modo - racconta il protagonista ai figli- che io avessi zie farmaciste, insegnanti, funzionarie pubbliche, e zii magistrati, maestri, e ancora preti e pure suore di clausura".
   Andrea, il protagonista, nato a sorpresa a otto anni di distanza dai suoi fratelli, fa della scrittura e della parola il proprio mestiere, nonostante genitori e figli non abbiano mai capito fino in fondo che lavoro faccia. Andrea con i figli Marco e Giovanni, affronta un viaggio attraverso un secolo di paternità : da quando i bambini non si prendevano in braccio perché 'cosa da donne' fino al momento in cui gli uomini hanno imparato e forse in fondo gli è anche stato concesso, a godersi a pieno l' essere un padre. La storia è ambientata il 2 marzo 2023, una settimana prima del compleanno del padre di Andrea, venuto a mancare da pochi mesi, papà fisicamente spesso assente ma empatico e partecipe. Proprio per riagganciarsi alla sua immagine, ai ricordi, quelli vissuti insieme e quelli conosciuti attraverso i racconti degli altri, Andrea scrive e regala ai figli la storia della propria famiglia, la memoria di radici che lo ancorano ben saldamente al presente, raccontando come si sia trasformata in modo necessario e imprescindibile la figura del padre.