Le abitudini non sono mai solo abitudini. Sono mappe, memorie, legami. Alcune ci accompagnano in silenzio, altre urlano āALTALENA!ā allāalba. Ma tutte, alla fine, ci definiscono e ci aiutano ā spesso senza che ce ne accorgiamo ā a diventare padri.
Lāaltro giorno ho svuotato la cantina dopo i canonici tre-quattro anni che intercorrono tra il proclamare ādomani lo faccioā e l'effettiva realizzazione del progetto. Mi sono ritrovato tra gli scatoloni delle vite di prima. Roba che non butti mai, che si porta dietro tutto: anni, traslochi, chilometri. Ć cosƬ che funzionano le abitudini di noi padri: stratificate come quei cartoni polverosi, ognuna con la sua storia, ognuna con il suo peso.
In questo numero di Padri in formazione esploriamo proprio questo: come cambiano, si stratificano, si spezzano e si ricompongono le abitudini nella vita dei padri. Quelle nuove, dettate dal ritmo dei figli, e quelle più antiche e radicate, che portiamo con noi come magliette sopravvissute a troppi cambi d'armadio ā o come quegli oggetti che finiscono negli scatoloni e che non riusciamo mai a buttare davvero.
Nel nuovo capitolo del Chicco show, il nostro piccolo profeta dellāalba ci trascina nel suo culto personale dell'altalena. Marco Bisanti ci accompagna nella tenerezza di un compleanno condiviso e ci regala una riflessione sui giorni che si rispecchiano l'uno nellāaltro, su come i figli ci vedano più forti di quanto ci sentiamo e su quella dolcissima vertigine che ĆØ il diventare la festa di qualcun altro, senza nemmeno accorgersene.
Alessandro Buttitta ci porta invece su una nave nel cuore della notte, in una sala vuota dove l'unico rumore è quello del mare e delle parole di un tredicenne in pieno batticuore. à un altro tipo di altalena, più interiore: quella tra l'essere guida e l'essere testimone, tra la tentazione di rispondere e il coraggio di ascoltare davvero.
Due di due
di Antonino Pintacuda
Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione della sveglia delle 5:32, io e mia moglie ci saremmo ricordati di quelle mattine remote in cui ci alzavamo alle sette. Spontaneamente.
āAltalena! Paperelle! Pedana!ā
āAlexa, che ore sono?ā chiedo con la voce impastata dal sonno. Recuperare gli occhiali mi sembra una traversata oceanica, e lei mi risponde con quella voce cibernetica che ormai suona più stanca di me: āSono le cinque e trentadueā. C'ĆØ da capirla: il piccolo di casa l'ha ridotta a jukebox personale, obbligandola a rispondere quotidianamente a āChe verso vuoi ascoltare?ā e poi snocciolandole tutto lo zoo ā dal piccione alla gallina, dal coliblƬ allāalieno ā la sua esistenza digitale ĆØ diventata un inferno di versi animali in loop infinito.
Dovremmo chiedere il rimborso per tutti quegli anni in cui io e mia moglie ci svegliavamo alle sette anche nei weekend. Che ingenui eravamo! Quante ore di sonno perdute, quante mattine sprecate a trovare qualcosa da fare senza comprendere il lusso assoluto di restare a letto a non fare nulla, di godersi quel dolce far niente che ora ci appare come un lontano miraggio.
Tu hai giĆ dato il via al tuo personale āChicco showā mattutino. La cittĆ dorme ancora beatamente incosciente, mentre tu hai giĆ compilato la scaletta degli eventi della giornata. Alla mamma hai scippato gli occhi immensi e la voglia di vivere pienamente tutte le giornate ā mi ricordo quando eravamo fidanzati e spensierati e lei giĆ il martedƬ iniziava a progettare il weekend successivo. Ma amatissimo figlio mio, non potevi prendere da tuo padre anche la placida passione per il riposo oltre ai piedi a panzerotto?
Nel frattempo io e tua madre siamo diventati gli accoliti di questa religione domestica. Lāesperta del sonno che dovremmo risentire? A questo punto ĆØ più una questione di fede che di scienza. Sono giĆ due anni e mezzo che pratichiamo il sonno a singhiozzo, una disciplina olimpica in cui nessuno ci ha mai spiegato le regole.
āALTALENA, PAPERELLE, PEDANA!ā: il tuo mantra del risveglio, recitato con la fede incrollabile di un predicatore dell'Illinois. Il cervello ti parte in quinta mentre il corpo ĆØ ancora in folle, ma tu hai giĆ prenotato mentalmente tutto il parco condominiale per i prossimi tre giorni.
Lāaltalena ĆØ lƬ, sempre in pole position. Le paperelle del laghetto sono scivolate al secondo posto. E poi c'ĆØ lei, la nuova fuoriclasse: la pedana. Una banalissima scaletta Ikea ā modello BĆSINGEN, costata nemmeno 20 euro ā che hai promosso a inseparabile compagna di vita, alternativa svedese alla blasonata torre montessoriana. Ora ti accompagna dovunque, la trascini dal bagno alla stanza da letto, con lei ti lavi i denti coreografando in tutto e per tutto la mamma, inclusa la sputazzata di acqua e schiuma di dentifricio finale.
La pedana me la ritrovo al bagno, dove stai studiando per bene come piazzarci il vasino per provare lāebbrezza di far pipƬ in sopraelevata. Ti accompagna a far colazione e fino alla cena, la usi per colorare, per rivedere per la trecentesima volta quel piagnone di Bing piangere il suo gelato alla carota caduto a terra, con quel santo pupazzo di Flop che deve dividere con lui il suo spiedino alla frutta ricoperto di cioccolato che giĆ si stava pregustando.
Ultimamente hai iniziato a fare crossover narrativi degni della Marvel dei tempi d'oro. Una mattina, alle 5:22 ā quando il mondo era ancora una bozza in nero ā ci hai svegliati urlando nel buio āLECCA-LECCA!ā come se fosse la cosa più normale del mondo.
Ora sei passato al livello successivo: costruisci colossali saghe cinematografiche. Di questi tempi sei particolarmente ispirato, sarĆ il ābabbƬo bluā, la stupidera che ogni tanto ti acchiappa e che hai battezzato cosƬ mischiando le origini siciliane paterne e la tua passione per quel colore. Le paperelle ti sollevano in volo, ti depositano sull'altalena, a volte arriva anche BarbapapĆ con tutti i figli pronti a fare barbatrucchi, ci raggiungono le tartarughe e tutti i compagnetti dell'asilo, inclusi i figli dei vicini e il loro gatto Nina. Tutto si collega nella tua testa tra un āfaccio ioā e l'altro.
Dallāalto dei tuoi due anni e cinque mesi sei fermamente convinto che l'universo intero giri attorno a questi tre oggetti. Che sono tuoi. Per diritto divino, ovviamente. O almeno per clausola contrattuale non scritta.
Noi restiamo qui, acciaccati, rintontiti e perdutamente innamorati, a guardare il tuo one-man-show dellāalba. Il sonno ĆØ un ricordo del passato, ma tu sei giĆ proiettato nel futuro: quello delle 6:00, quando al di lĆ del corridoio, davanti al divano, ricomincerai tutto da capo.
Se anche tu hai scatoloni in cantina pieni di āvite di primaā, se riconosci l'urlo dellāaltalena allāalba o se semplicemente credi che le storie di padri vadano raccontate e condivise, aiutaci a far crescere questa piccola comunitĆ .
Batti cinque
di Marco Bisanti
- PapĆ , domani ĆØ il tuo compleanno?
- SƬ, amore.
- E dove la fai la festa?
- A te dove piacerebbe?
- Dove lāho fatta io.
CosƬ tra me e Arturo ieri sul bilico del sonno, dopo una festa pomeridiana lontanissima, che la mancanza di parcheggio al ritorno ha stirato quasi fino alle dieci di sera. Davvero non so cosa faremo e dove andremo oggi per il mio compleanno. A volte, le nostre domande ai figli nascono da ignoranza autentica, sono lontane da ogni forma retorica. Le loro risposte, comunque, hanno quasi sempre a che fare con loro e vagano spesso da un estremo allāaltro della simbiosi o, al contrario, del respingimento: ĆØ sempre in gioco la loro identitĆ in rapporto alla nostra. Poco dopo la cena velocissima, mi ha detto andiamo a fare pipƬ. CioĆØ lui, mentre io lo guardo e lui può fare altre domande.
- Papo, ma tu ci arrivi a toccare il tetto?
- Mah, non pensoā¦
- Prova, dai.
- Vedi che non riesco? Aspettaā¦
- Lo vedi che se fai un salto ce la fai!
A volte crede in me più del sottoscritto. Non solo ieri sera, anche alla festa a cui siamo stati: cāera un canestro, mi preparo per tirare da lontano e gli chiedo se ce la faccio. Mh-mh! ha detto calando la testa, non cāera ombra di dubbio. Al secondo tentativo ce lāho fatta. Ć lui il regalo più bello, la festa della mia vita, anche se non credo che oggi andremo a villa Celimontana, dove abbiamo festeggiato il suo ultimo compleanno.
Andando a letto, però, ho ripensato al suo primo compleanno, quattro anni fa ā gli anni che farei anche io oggi se ci vedessi doppio. Avevo scritto una cosa, la metto qua, in barba a chi detesta le ricorrenze con tutto il loro repertorio di atti dovuti. In barba a me stesso quindi, tra gli altri. E tanti auguri, sempre, a noi genitori.
Amore, oggi ĆØ stato il tuo ultimo giorno nuovo in calendario. Domani fai un anno e riprendi il giro, ma sulla tangente delle infinite prime volte che ancora ti aspettano. Questo giorno lāabbiamo salutato passeggiando per la prima volta fianco a fianco in villa, alla lunghissima luce del tramonto. Con una manina ti tenevi stretto alla mia, con lāaltra puntavi fisso lāindice in tutte le direzioni, affamato di mondo. Dove andare, appresso alle colombe che si allontanano sempre come lāorizzonte, o verso i ragazzi che fanno esplodere il pallone sul muro della casetta abbandonata? Oggi con te per mano alla villa, sarei potuto essere ovunque sentendomi a casa lo stesso. Tra una direzione e lāaltra, un verso e lāaltro, mi guardavi felice e io mi sentivo guardato dallāuniverso. Nel giardinetto condominiale stamattina ĆØ uscito il primo glicine e, mentre bevevo il caffĆØ, ho visto un calabrone fare la corte ai grappoli di primavera che ieri non cāerano. Ieri non cāerano. Ieri non cāeri. Non ci sei stato per tantissimo tempo. Non ci sono stato per tantissimo tempo. Mai, non ci sono stato mai. Ti ho visto oggi, in piedi, nello spazio ben più grande della caldissima casa dove abitiamo, eri molto più piccolo di un calabrone che ronza attorno alla pergola, ma da solo riempivi ogni geometria della terra battuta e lāimmenso verde e lāaria più alta dei rami che fanno casa ai pappagalli e ai corvi, tra i pini marittimi e le antiche mura di Aurelio. Avvolgimi per tanto altro tempo ancora con lāincandescenza delle tue connessioni che doppiano in velocitĆ le mie. Corri ancora verso la tua misteriosa abbondanza, senza timore delle potature che verranno. Benvenuti sulla terra, dicono i tuoi occhi. Tuo padre e tua madre festeggiano questo buon primo giro, ancora commossi e increduli. Commossi e increduli che, un anno fa, questa era la tua ultima notte a testa in giù nella camera del sangue. E non lo sapevamo. Come lāinfinito di quello che ci aspetta, meraviglioso
PapĆ prof
di Alessandro Buttitta
Sulla nave, nella sala comune, non c'è nemmeno più il barman. Tutte le poltroncine sono vuote. Da trenta minuti abbondanti è passata la mezzanotte. Sul pontile c'è vento. Le ampie vetrate restituiscono il nero del mare di notte. Un mio alunno - insonne, inconsolabile - ha bisogno di parlare: problemi di cuore di un tredicenne che sperimenta le prime delusioni d'amore, problemi che oggi noi adulti ascoltiamo con un sorriso e forse con un po' di invidia.
Essere scelti, in quella sospensione quasi irreale, come confidenti, è un privilegio raro. Il buio del mare, il vuoto della sala, diventano lo scenario di un ascolto che va oltre le semplici parole. Non si tratta solo di sentire un racconto, ma di offrire una presenza che permetta all'altro di aprirsi, di far emergere la propria voce più autentica, spesso soffocata dal frastuono della quotidianità o dal timore del giudizio.
Queste confessioni notturne, nate da un tempo che sembra fermarsi e da difese che cedono, a volte svelano frammenti di una verità più nuda, una fiducia che quasi ci si sente indegni di ricevere. Ci si chiede se si è davvero capaci di cogliere il nucleo di un'anima in crescita, la sua vulnerabilità , la sua forza nascente. O se, nel nostro tentativo di comprendere, non proiettiamo piuttosto le nostre stesse passate inquietudini, i nostri irrisolti. E poi, quanto durerà questo legame così scoperto, questa specifica confidenza sbocciata in un momento forse irripetibile? Le stagioni della vita, si sa, portano ad altri approdi, ad altre figure di riferimento. Chissà se il ricordo di questa apertura, di questo affidarsi proprio a noi, svanirà rapidamente o se, quasi per caso, lascerà una traccia sottile nel loro percorso e, forse, anche nel nostro.
Eppure, anche se destinata a trasformarsi, o forse a perdersi, questa fugace intimitĆ sembra avere un peso. In quella notte, il prof che ascolta ā esitando tra il dire e il tacere, chiedendosi se una parola di conforto sia più o meno opportuna di un silenzio partecipe, se il consiglio richiesto non sia una trappola ā offre qualcosa di sĆ©, con tutti i propri limiti. Non certo la soluzione ai dubbi di un tredicenne, ma forse uno sprazzo di umanitĆ condivisa, il semplice, esitante riconoscimento del suo sentire. Un abbraccio impacciato, quasi rubato, un āgrazieā appena mormorato prima del rientro in cabina: più che sigilli potenti, forse sono piccole, fragili ancore di speranza. Ci interrogano sul senso del nostro ruolo, sulla precarietĆ e la forza inattesa delle relazioni, su quel poco che, a volte, con tutti i nostri dubbi, possiamo davvero offrire e ricevere.
Da non perdere
Una Martina Pennisi da leggere con i fazzoletti vicino commenta in prima persona la storica sentenza della corte costituzionale: entrambe le madri possono riconoscere il figlio nato con la procreazione assistita.
Vi invitiamo a seguire āConsegna prevista: 48 anniā di Massimo Benedetti, che si presenta cosƬ: āSono diventato papĆ . Alla soglia dei 50 anni. Qui scrivo di questa esperienzaā, gustatevi lāultimo numero
Vi leggo, vi seguo e voi mi citate pure. š„° Grazie esimi colleghi di paternitĆ š«¶š¼
buffo, Massimo: ho appena finito e pubblicato la mia newsletter chiudendola con āquello che restaā. Apro Substack e mi casca lāocchio sul tuo post.
(Io ti amo? Tu mi ami? E allora
lo vedi che la cosa ĆØ reciproca?)(cit.)