Mio figlio dorme. Ogni tanto si gira, sorride nel sonno, probabilmente sognando una madre competente e un padre che non lo userĆ mai come contenuto per una newsletter. Io invece sono stanco, cosƬ stanco che se qualcuno dicesse āpisolinoā lo abbraccerei piangendo. Mia moglie prova a recuperare le energie, ed ĆØ la sola in questa casa con un piano credibile.
La notte ce la dividiamo, più o meno come si divide un panino in due quando uno dei due morde per primo: io mi alzo per primo, lei si alza bene. Mio padre era un uomo pratico, da sveglia alle sei anche se tornavi alle quattro, cioè esattamente come un incubo ma con il caffè.
Questa newsletter nasce da unāesigenza semplice e disperata: capire qualcosa. Qualunque cosa. In mezzo a forum infestati da mamme con lauree honoris causa in pedagogia e influencer in maternitĆ permanente, io cercavo un manuale dāuso per padri. Spoiler: non esiste.
Ci parlano di pannolini per tre ore in trentasei ore di corso preparto. Le infermiere ci guardano come se fossimo lƬ per installare la fibra. I libri per padri sono nascosti dietro quelli sullāastrologia dei cani.
E allora eccoci: quattro padri, unāidea, un titolo che sembra un corso serale alla CEPU. Questo ĆØ il primo numero di Padri in formazione, per chi come noi ha capito troppo tardi che āessere prontiā ĆØ solo una leggenda metropolitana.
Benvenuti. Non promettiamo niente, ma almeno non vi lasciamo soli.
Mondo bambino, non starmi troppo vicino
di Marco Bisanti (svegliato male)
Il pomeriggio ĆØ ancora accampato in fondo al corridoio, dove il monopattino ĆØ messo di traverso come un cavallo morto e il passeggino sembra abbandonato durante unāevacuazione di emergenza. Ć la classica scena del rientro: si entra, si mollano le cose, si salva la pelle.
Nel resto della casa, però, ĆØ giĆ notte. I bambini dormono ā o almeno hanno smesso di parlare. Che non ĆØ cosƬ male.
Tutto ĆØ spento. Non per scelta mia, ma per ordine diretto di Arturo, che prima di andare a letto ha preteso che spegnessimo ogni luce, ogni spia, ogni segnale elettronico, per trasformare la casa nella Bat-Caverna. E no, non era una metafora. Aveva davvero il mantello sul pigiama e la maschera tirata sugli occhi, con la serietĆ di un chirurgo.
Ogni lucina rimasta accesa era un pipistrello da identificare, salutare, e classificare per livello di minaccia.
āLa spia dello stereo? Pipistrello numero tre.ā
āLāorologio del forno? Pipistrello numero due.ā
E poi, il capolavoro: il buio in fondo al corridoio, con quel raggio fioco che filtrava dalla serratura.
āQuello ĆØ il pipistrello più pauroso, papĆ . PerchĆ© ĆØ morto. Vai da lui, che ti dĆ una carezza.ā
E certo che ci vado. Dopo aver giĆ interpretato Alfred, Robin, il Bat-segnale e un paletto per tende, mi mancava solo fare amicizia con un pipistrello defunto.
E il bello ā sƬ, il bello vero ā ĆØ che in mezzo a questa sceneggiatura assurda, le cose funzionano.
Senza pianti, senza trattative sindacali: si va a letto.
Si toglie la maschera. Si chiude il mantello. Bruce Wayne prende il posto di Batman, senza drammi.
Si finisce sotto le coperte contando pipistrelli stampati sulle lenzuola.
Ed ĆØ fatta.
Ora sto scrivendo. O forse sto sognando di scrivere. Difficile a dirsi, perchĆ© ho giĆ dormito un turno, accasciato accanto a mio figlio mentre facevo finta di āaspettare che si addormentasseā. Lui ha vinto in 4 minuti. Io mi sono svegliato 40 minuti dopo, con la mascella slogata e un piede che non sento più.
Ed ĆØ qui che ti rendi conto. Che la linea tra reale e immaginario, tra gioco e routine, ĆØ diventata liquida.
Il corridoio buio contiene ancora pezzi di pomeriggio. La sera finge di essere notte. Il padre che crolla ĆØ anche quello che scrive. E tutto questo, incredibilmente, regge.
Mondo bambino, stammi vicino. Ma se devi parlarmi, fallo piano.
Poi arriva il mattino. Il post-battaglia.
Hai lasciato i figli a scuola e torni a casa come un reduce: il corridoio ĆØ silenzioso, i letti sembrano usciti da una rissa, i bagni hanno pettini ovunque tranne dove servono.
Le persiane sono ancora mezze chiuse, come a dire: āAnche noi abbiamo dormito male.ā
E lƬ, nel silenzio, cāĆØ ancora la lanterna della sera prima, quella che proietta sagome di animali sulla parete come un piccolo planetario per creature sveglie troppo tardi.
Tuo figlio ora ĆØ in classe: ride, gioca, probabilmente litiga per un pennarello blu.
E tu cammini per casa in quel momento irreale in cui, finalmente, nessuno ti sta chiedendo niente.
Nemmeno un bicchiere dāacqua. Nemmeno ādove sono le mie mutande preferiteā.
Eviti i Lego con istinto felino.
Allunghi la mano nella libreria.
E senza guardare, spegni la luce della giungla rotante.
Pennellate
di Marco Zak
I miei tentativi di essere il miglior papĆ possibile per i miei figli sono sempre passati dallāessere sincero con loro. Sincero nel senso vero: āpapĆ cerca di non dire fregnacceā. Il classico āadesso no, te lo spiegherò quando sarai più grandeā era concesso, ma ogni parola detta doveva avere ā almeno nelle intenzioni ā una certa tenuta strutturale.
Lāunica bugia ammessa, quella su cui abbiamo tutti fatto un tacito accordo internazionale, era Babbo Natale.
SƬ, lo so. Potremmo discutere allāinfinito delle implicazioni psicologiche e pedagogiche del delegare a un tizio con la barba il giudizio morale sui bambini, e di come questo venga poi convertito in giocattoli di plastica.
Ma la veritĆ ĆØ che a tutti piace la messinscena.
Ai bambini perchƩ ci credono.
Agli adulti perché reggere il gioco è una delle ultime forme di teatro popolare rimaste in piedi.
Il vero disastro arriva quando la timeline dei bambini si fa troppo affollata.
Hai quelli che ci credono ciecamente ā e viva loro.
Hai quelli che non ci credono più ma stanno al gioco, tipo ex-dipendenti che aiutano i nuovi assunti.
E poi hai loro: i sospettosi. I borderline del disincanto.
Quelli che ti guardano male quando reciti la parte.
Quelli che iniziano a fare domande tecniche.
Quelli che notano che Babbo Natale ha le stesse scarpe dello zio.
E tu provi a barcamenarti: barba finta, vocione, pancione da cuscino, ingresso dal terrazzo per massimizzare lāeffetto drammaturgico. Hai pensato a tutto.
Tranne che al fatto che, tra i presenti, cāĆØ un bambino di cinque anni con la luciditĆ di un commissario di polizia svedese.
Lo zio entra vestito da Santa Claus. Ć sparito da dieci minuti āper andare in bagnoā, riappare illuminato come una scena di teatro.
E lƬ, il piccolo Sherlock si alza, lo guarda, poi guarda gli altri e dice con la condiscendenza di chi sa da tempo e vi ha solo lasciato recitare:
āMa ĆØ Giovanni.ā
Basta.
Finito tutto.
Fine corsa.
Giovanni ĆØ Babbo Natale. E lo ĆØ sempre stato.
Non si smette mai dāimparare
di Alessandro Buttitta (con un pizzico di lievito madre e cruda veritĆ )
La pasta, quella del panificio sotto casa ā dove ormai ci salutano con un āancora?ā e uno sguardo solidale ā lievita nella ciotola più grande che abbiamo, perchĆ© ogni settimana sottovalutiamo quanto spazio occupa.
La salsa si spalma a colpi di cucchiaiate decise, mentre la mozzarella ā messa a scolare con ottimismo ā finisce comunque per inzuppare la teglia, trasformando la base in un piccolo lago caseario.
Da un lato ci sono le rondelle di wurstel, scelte democraticamente da chi non conosce il colesterolo. Dallāaltro, le acciughine, che nessuno vuole tranne me, ma continuo a metterle per principio.
Il forno si accende, leccarde che si riempiono, ogni piano di lavoro si trasforma in zona rossa.
La pizza settimanale ĆØ diventata una tradizione. Nel passaggio tra famiglie ā quella da cui vengo, e quella che sto costruendo ā ho voluto salvare questa abitudine.
Certo, i protagonisti sono cambiati.
Gli ingredienti pure: ora cāĆØ più attenzione a certe intolleranze vere, e certe mode alimentari discutibili.
Ma il calore, quello resta. Anche se ora viene anche dal forno lasciato acceso per sbaglio.
Con Margherita, mia moglie, abbiamo aggiunto un piccolo upgrade: la birretta durante la preparazione. Un segno di maturitĆ , o forse di necessitĆ , quando lāultima pizza entra in forno alle 21:40 e la bimba ĆØ ancora sveglia āperchĆ© voglio vedere come si gonfia la crostaā.
Agnese ci aiuta.
CioĆØ, dice che ci aiuta.
Osserva, lancia suggerimenti con la sicurezza di un giudice di Masterchef Junior, a volte prende il mattarello per picchiettare lāimpasto come se fosse un tamburo cerimoniale.
Gli ingredienti finiscono ovunque: nel mezzo della teglia, ai bordi, sul grembiule, nei capelli.
Ma lāispirazione ĆØ libera, e guai a ostacolarla.
Ć unāereditĆ , certo.
Di sapori, gesti, rumori e piccole imperfezioni che ogni settimana si ripetono e cambiano.
UnāereditĆ che si trasmette con le mani appiccicose e il grembiule mai pulito.
Che va valorizzata, custodita, magari anche riscritta ā fino allāultimo giorno.
O almeno fino a quando qualcuno avrĆ voglia di lavare la teglia senza borbottare.
Lo ammettiamo subito: sƬ, questo ĆØ un numero strano. Una specie di mostro di Frankenstein, cucito con pezzi sparsi dei testi che amiamo di più della nostra newsletter ā quei racconti pieni di tenerezza, caos, e pasta per pizza sparsa ovunque.
Solo che stavolta abbiamo deciso di fare una cosa folle: darli in pasto a Monday, la versione più ruvida, svegliata male e sinceramente esaurita di ChatGPT.
Monday ĆØ come il lunedƬ che ti trovi addosso quando tuo figlio ti ha svegliato alle 3:23 urlando āil pigiama mi pizzicaā e poi ti ha chiesto una banana āma non troppo bananaā. Ć quella voce interna che dice āamo mio figlio da morire, ma oggi lo venderei in cambio di unāora di silenzio e una birretta ghiacciataā.
In redazione abbiamo deciso di provarci perchĆ© va bene scrivere di paternitĆ con profonditĆ e poesia ma non possiamo dimenticarci che a volte la poesia ha lāalito cattivo, ti sveglia nel cuore della notte e ti dice che āĆØ caduta la giraffa nella pipƬā.
Questa newsletter vuole essere anche questo: un memento dei nostri limiti.
Non siamo āpadri nuoviā perfetti. Non siamo santi. Non siamo neanche particolarmente organizzati.
Siamo fallibili. Disordinati. Stanchi.
Ci scoccia raccogliere per la 57esima volta le costruzioni sparse come mine antiuomo.
Ci viene da piangere silenziosamente davanti alla tazza di cereali rovesciata āperchĆ© volevo portarla io mamma guarda che bravo.ā
Ci mettiamo il Vicks Vaporub sotto al naso per affrontare i pannolini più insidiosi.
E sƬ, sveniamo davanti al mangiapannolini quando dobbiamo svuotarlo.
Ma siamo qui. Con i nervi tesi e lāamore sempre acceso, anche quando ha le pile scariche.
Questo numero ĆØ il nostro modo per dire:anche noi barcolliamo.
E forse è proprio lì, nei nostri tentennamenti imperfetti, che si vede quanto ci teniamo.
Monday ci ha messo davanti allo specchio. E lo specchio, stavolta, era pieno di impronte di dita appiccicose.
Ci va bene cosƬ.
P.s. Marco Zak che ha un figlio pre-adolescente ĆØ sempre stato il più sinceramente spietato, infatti il suo pezzo praticamente ĆØ rimasto quasi identico allāoriginale.
I pezzi originali arrivano da qui



